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I Gumbi



L’ascesa della produzione dell’olio, soprattutto nel Seicento, ha portato la popolazione locale che viveva di agricoltura, alla costruzionedi innumerevoli frantoi che in dialetto prendono il nome di gumbi.

Descrizione

Con la decadenza dell’olivicoltura e con le innovazioni tecnologiche oggi la maggior parte dei frantoi è stata abbandonata ma rimangono comunque dei siti interessanti da osservare.

Possiamo generalmente catalogare i frantoi in tre categorie a seconda del loro funzionamento:

  • I gumbi ad acqua che erano azionati dall’energia idrica attraverso l’uso di grandi ruote e di ingranaggi per frangere le olive;
  • I gumbi a sangue che sfruttavano la forza di un animale per il processo di frangitura e spesso erano di dimensioni più ridotte rispetto a quelli ad acqua
  • Gli edifici da sanse che invece erano costruzioni più ridotte, spesso collocate a fondo valle, nelle quali i proprietari dei gumbi a sangue portavano la pasta prodotta dalla lavorazione per ottenere, a seguito di un ulteriore trattamento e con l’utilizzo dell’acqua, ancora dell’olio.

Scopriamo questi gumbi! Il territorio di Villa Faraldi è un territorio ricco di corsi d’acqua e non è un caso che gli antichi abbiamo sfruttato proprio la forza idrica per la produzione dell’olio. Principalmente i frantoi ad acqua sono stati costruiti vicino al torrente Cervo o lungo il corso dei suoi affluenti. La zona a ridosso del Cervo era quella dove ce n’erano di più e dove oggi se ne possono ammirare ancora diversi. Altri, di numero inferiore, invece sfruttavano l’acqua dei rivi affluenti (Villa, Scuglia, Tovo, Bestagnolo, Gazzelli, San Bartolomeo e del Bosco) che però avevano una portata minore e soprattutto discontinua quindi è stata necessaria  la costruzione di grandi vasche di accumulo per permettere comunque una disponibilità d’acqua sufficiente per la frangitura che sovente richiedeva anche la forza delle bestie. L’acqua veniva usata per lavare le sanse. La scarsità d’acqua e la meno felice collocazione hanno causato il loro abbandono molto prima di quelli ad acqua.[1]

Ma quanti erano i frantoi in valle? In realtà la risposta è più complicata di quanto si possa pensare; prima del 1800 non ci sono notizie certe sulla quantità di gumbi nella valle, solo un catasto della Chiesa parrocchiale di Tovo, del 1798, certifica l’esistenza di 4 gumbi e 3 “edifici da sanze” ma sicuramente questo dato sottostima la realtà perché probabilmente non tiene conto di tutti quei frantoi destinati all’autoproduzione.[2]

All’inizio dell’Ottocento il numero dei molini è elevato, nel 1816 se ne contano ben 13 poi il loro numero scende drasticamente e nel 1894 se ne contano solo 3 questo perché nel corso del secolo sono stati convertiti in frantoi molto più redditizi (rapporto 0.7 a 1); infatti alla fine del secolo c’erano 36 frantoi e 4 opifici che potevano assolvere ad entrambe le funzioni. È giusto precisare che le conversioni sono avvenute anche perché i proprietari avevano, la sola possibilità di sfruttare i corsi d’acqua per competere con gli altri frantoi delle altre valli, d'altronde, allora come oggi, l’acqua era una risorsa preziosa e l’utilizzo doveva essere regolamentato e lo spreco minimizzato; infatti, le deviazioni dell’acqua costruite per i gumbi potevano essere sfruttate dai contadini adiacenti anche per innaffiare le coltivazioni.

Certo che fra la costruzione di nuovi frantoi in zone di difficile accesso o la costruzione di vasche per l’approvvigionamento di acqua e i canali per alimentarle spesso lunghi anche 3 chilometri  e il rinnovamento dei molini con la sostituzione dell’impianto, si sceglieva l’alternativa più veloce, meno onerosa e più redditizia, quindi la conversione dei molini in frantoi.[3]

I  gumbi a sangue, come già detto, funzionavano con l’ausilio della forza animale: venivano impiegati i buoi o le bestie da soma, perciò, non erano vincolati all’essere vicino a rii o torrenti per funzionare. In questa Valle erano presenti in un numero considerevole, ben 114, anche se probabilmente non hanno mai funzionato contemporaneamente perché la loro attività ha risentito di congiunture più o meno favorevoli e sono stati attivi solo in particolari momenti. I gumbi a bestia sono rimasti attivi fino a poco dopo la Seconda guerra mondiale. Certo sono i frantoi più antichi perché nati quando la richiesta di olio era limitata così come l’efficienza produttiva  ma anche i primi ad essere stati abbandonati.[4]

Nel XX secolo si sono sviluppati i frantoi elettrici molto più efficienti e comodi, infatti, i vecchi gumbi sono stati adattati alla nuova tecnologia anche se con l’avvento della crisi energetica alcuni proprietari hanno deciso di ripristinare i vecchi sistemi. Nel 1946 i frantoi nella Valle Steria erano scesi a 28: 9 a sangue, 4 elettrici e 15 idraulici. Nel 1982 i frantoi rimanenti erano 11 completamente elettrici e altri 11 con funzionamento idraulico-elettrico, nessun gumbo a sangue è rimasto operativo.[5]

Oggi i gumbi abbandonati rimangono comunque interessanti vetrine della società contadina di un tempo costruita sulla fatica e sull’ingegno mentre i frantoi ancora funzionanti continuano a produrre un eccellente olio extravergine che caratterizza questi luoghi da secoli.

 

[1] G. Fedozzi, “Olivicoltura e frantoi nella Valle Steria ieri e oggi”

[2] G. Fedozzi, “Olivicoltura e frantoi nella Valle Steria ieri e oggi”

[3] G. Fedozzi, “Olivicoltura e frantoi nella Valle Steria ieri e oggi”

[4] G. Fedozzi, “Olivicoltura e frantoi nella Valle Steria ieri e oggi”

[5] G. Fedozzi, “Olivicoltura e frantoi nella Valle Steria ieri e oggi”



Foto

I Gumbi


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